Le memorie di traduzione: siete diventati maestri nell’arte del “taglia e cuci”?
Le memorie di traduzione sono qui per restare, non ce lo nascondiamo! Ma non devono impedirci di lavorare con piacere e buon umore (il più possibile), esercitando la nostra curiosità in quanto perfezionisti.
Il pericolo è quello d’intraprendere un approccio modellato su quello della macchina. Abbiamo così l’impressione che i ruoli s’invertano, che siamo irrimediabilmente sottomessi alle esigenze di applicazioni multiple che il mercato ci impone, in altre parole, che la traduzione si riassuma in un lavoro meccanizzato assistito dall’essere umano.
Con le memorie di traduzione, una parte del lavoro già è fatta, non sempre come vorremmo, ma dobbiamo adattarci. Anche quando riceviamo il nostro testo, la ricerca di nuovi termini continua a farsi con la stessa curiosità che c’era prima dell’arrivo delle memorie di traduzione, la stessa propensione ad apprendere che risiede in tutti gli esseri umani. Con la differenza che bisogna sviluppare nuovi riflessi: cercare le parole nei segmenti da tradurre invece di occuparsi dei termini che si trovano nei segmenti già tradotti. I tempi sono più corti, e i clienti vanno sempre più di fretta, non dimentichiamolo.
Bisogna ritornare ai segmenti già tradotti (chiamati comunemente “parole bozza”) al momento dell’assemblaggio. È proprio lì che bisogna impiegare la buona tecnica, e ce ne sono varie. Lavoriamo su di un testo informativo? Occorre dunque una tecnica di stile patchwork: bisogna essere disciplinati, metodici, precisi. Lavoriamo su di un testo argomentativo? Una tecnica più artistica può essere più appropriata: otterremo così un lavoro composito, che metterà in risalto la tesi che l’autore difende nel testo.
L’ago e il filo mi direte? È la nostra memoria: è lei che riunisce gli elementi prima di applicarli allo scenario. È lei che evidenzia gli elementi. Instancabile, prende 5-7 segmenti che confronta per trovare i punti dove questi s’inseriscono. Li riunisce con punti differenti, alcuni più artistici di altri. Spesso fa un lavoro certosino.
Ma soprattutto, bisogna evitare la tecnica del “crazy quilt ”, l’assemblaggio anarchico dei segmenti. In questo modo il testo darebbe l’impressione di non avere un filo conduttore e di essere svuotato di senso.
Buon divertimento!
Video : Studio Steve Bergeron